Una maxi operazione dei carabinieri contro la ‘ndrangheta ha portato a 97 arresti. Si confermano: il monopolio della cocaina in Europa; la struttura centralizzata; il sistema di collusione. Dopo anni e anni di ritardo, adesso il percorso deve spostarsi dall’antimafia del “giorno dopo” a quella del “giorno prima”.
L’operazione “Millennium” è l’ennesima indagine eseguita contro la più insidiosa organizzazione mafiosa, la ‘ndrangheta. È coinvolto l’intero territorio nazionale: si parte da Reggio Calabria e si risale l’intero Stivale, passando da Roma e con propaggini anche in Sicilia.
Bisogna leggere bene gli atti, perché ci sono tutti gli ingredienti che ribadiscono la valutazione di questa realtà mafiosa come la più pericolosa nel contesto europeo e tra le più pericolose su scala globale.
Quattro elementi cardine spiccano e vanno segnalati:
1) Si conferma che la ‘ndrangheta ha una primazia nel campo del narcotraffico.
Sono stato in Colombia e lì ho compreso quanto fosse reale la capacità degli ‘ndranghetisti di tessere rapporti diretti con i più pericolosi narcotrafficanti.
Ma ho anche capito che, oltre alla affidabilità nei pagamenti e alla capacità di assicurare un vasto mercato, i boss della ‘ndrangheta sono in grado, per conto dei cartelli dei narcos, di movimentare quotidianamente camion di dollari e riciclarli con abilità e professionalità in vari circuiti finanziari.
2) Si conferma che nella ‘ndrangheta c’è una verticalità di direzione strategica.
Per anni ho dovuto contrastare la più rassicurante e compiacente lettura che considerava la struttura di tale organizzazione come orizzontale.
Cosa nostra già alla fine degli anni Ottanta aveva convinto i vertici della ‘ndrangheta che le faide interne e sanguinose sono un punto di debolezza esiziale, come pure l’attività violenta, raccapricciante e rischiosa dei rapimenti di persone, e che bisognava pertanto darsi forme di coordinamento e di verticalità.
La ‘ndrangheta ha imparato velocemente e oramai da anni è strutturata in forma tale da avere una centralizzazione decisionale a livello provinciale, regionale e internazionale.
3) Si conferma che la ‘ndrangheta ha una vasta capacità di collusione con l’economia e la politica.
Anche su questo aspetto si è sottovalutato il passaggio dal modello della “mediazione”, dove la politica e l’economia mantengono la loro autonomia, per trovare accordi di volta in volta nei momenti nevralgici della raccolta del consenso e nella gestione degli appalti e delle risorse pubbliche, al devastante modello della “rappresentanza diretta”, dove politici di fiducia della ‘ndrangheta rappresentano direttamente e a tempo pieno la struttura mafiosa nelle aziende e nelle istituzioni.
4) Si conferma il carattere del radicamento locale e del profilo globale della ‘ndrangheta.
Nel Nord Italia quante volte abbiamo dovuto contrastare il “negazionismo” e il “minimalismo” della presenza dei boss in forma organizzata!
Anni fa, con il Prefetto di Milano di allora, ho avuto uno scontro diretto in Commissione Antimafia, proprio per lo svilimento che proponeva della presenza in Lombardia di veri e propri locali di ‘ndrangheta in coordinamento tra di loro.
Anche in Germania, di recente, ho dovuto smentire il negazionismo e il minimalismo sulla presenza nel loro Paese di locali di ‘ndrangheta, presentando delle cartine tematiche del territorio tedesco, dove città per città erano indicati i nomi delle famiglie di ‘ndrangheta che vi operavano stabilmente.
Ma attenzione, perfino in Calabria non si è tuttora compreso che il radicamento storico è capillare sia sul piano militare sia su quello collusivo con la società, l’economia e le istituzioni, senza trascurare lo stretto legame con vasti settori della massoneria, sino a creare addirittura luoghi decisionali comuni.
Conferenza stampa del Procuratore Capo della DDA di Reggio Calabria, dott. Giuseppe Lombardo, per illustrare l'Operazione Millenium
Queste caratteristiche non sono tipiche solo della ‘ndrangheta di Reggio Calabria, ma si riscontrano in altre realtà territoriali.
Basti pensare ai vari versanti dove agiscono boss storici coinvolti nell’operazione “Millennium”. Già nel 2010, con l'operazione “Crimine” si scoprì che la provincia è suddivisa in tre aree: mandamento jonico, mandamento tirrenico e mandamento centro.
Non sottovaluterei la mafia dei boss Mancuso di Limbadi, nel vibonese, o quella dei Grandi Aracri di Cutro, nel crotonese, o ancora quella dei Giampà e dei Torcasio, nel lametino, o il clan Muto, nella parte tirrenica della provincia di Cosenza, o quella cresciuta a dismisura dei boss dei “nomadi” degli Abbruzzese di Cassano e della Piana di Sibari.
Insomma, abbiamo a che fare con un sistema di ‘ndrangheta molto integrato e pervasivo, capace di corrodere la sana convivenza civile, l’economia legale e l’agire democratico.
Che fare? Intanto bisogna fare tesoro di quanto è emerso in tanti anni di impegno delle forze di polizia e della magistratura e della stessa società civile e provare finalmente a spostarsi sull’antimafia del “giorno prima”.
Alcune scelte vanno pertanto fatte con lucidità analitica e coraggio progettuale.
* Innanzitutto bisogna creare all’Interno della Procura Nazionale Antimafia una sezione specializzata di 21 magistrati, impegnata nel colpire le ricchezze e il riciclaggio locali e globali, il sistema delle collusioni e i rapporti con le altre organizzazioni mafiose e massoniche, in cooperazione con le Procure Antimafia di Reggio Calabria e di Catanzaro.
* Bisogna inoltre mettere a disposizione di questa sezione specializzata un reparto di alta qualità della DIA, dove far convergere 300 investigatori di accertata eccellenza.
* Va rispolverata la legge n. 310 del 1993, che obbliga i segretari comunali e i notai a segnalare al Questore i passaggi di proprietà degli esercizi commerciali che avvengono sul territorio, in modo da monitorare sistematicamente in Prefettura le possibili attività di riciclaggio attraverso l’uso delle più avanzate tecnologie e della stessa intelligenza artificiale.
* Va concepito un piano di investimenti senza precedenti nel welfare integrato (sanità, scuola, politiche sociali, sport, cultura) con tempi certi di realizzazione e senza lasciare alcuno spazio alle imprese mafiose e alle interferenze dei boss.
* Bisogna avere il coraggio di applicare capillarmente il protocollo “Liberi di vivere”, già sperimentato, per togliere la patria potestà ai genitori mafiosi e garantire un’altra vita ai figli fin da piccoli.
* Si devono avviare sul territorio dinamiche reali di sviluppo economico, che siano in grado di creare lavoro produttivo e distretti economici sicuri, controllati e “mafia-free”.
* Infine, va attuato in tutte le sue parti il Codice Antimafia, dove sono presenti le misure necessarie per aggredire il sistema mafioso con continuità e in tutte le sue componenti, compresi i detenuti, soprattutto quelli soggetti al regime del 41-bis.