Pio La Torre è stato un politico profeta. Ha anticipato i tempi, comprendendo le dinamiche interne alla mafia e il suo sistema di collusione con la politica e l’economia.
Ha avuto il coraggio di prendere sulle proprie spalle il rinnovamento del modo di fare politica della stessa sinistra siciliana, ricca di valori e leadership ma anche dilaniata da modi di operare in senso tanto compromissorio e consociativo quanto sterile e radicale.
Aveva capito per primo che la via maestra nella lotta alla mafia era l’istituzione di un reato specifico, attraverso la previsione del famoso 416-bis, per colpire quel “vincolo associativo” che ha una sua originale caratteristica totalizzante e fagocitante rispetto a qualunque altro legame: da quello genitoriale a quello religioso, da quello civile a quello democratico.
Contestualmente, La Torre aveva compreso che l’altro pilastro della lotta alle mafie risiedeva nell’aggressione ai patrimoni e alle ricchezze dei mafiosi.
Quando in Parlamento intervenivo nel dibattito per potenziare e arricchire le norme antimafia, il mio pensiero era sempre rivolto a Lui.
Da Presidente della Commissione Antimafia, mi affascinava la lettura della relazione di minoranza che Pio La Torre seppe elaborare, corredandola di analisi qualificate e schede puntuali sul radicamento mafioso e sul rapporto tra mafia e politica. È stato così fino al mio ultimo impegno istituzionale, dedicato alla riforma del Codice Antimafia.
Il mio pensiero andava spesso a Lui e al prezzo altissimo che ha pagato per avere richiesto alla politica di aggredire apertamente la mafia nei suoi pilastri fondamentali e di disegnare un nuovo ruolo della Sicilia nel contesto euromediterraneo.
On. Giuseppe Lumia, già Presidente Commissione Parlamentare Antimafia
Venne ucciso a Palermo il 30 aprile del 1982, insieme al suo amico e collaboratore Rosario Di Salvo, alcuni mesi prima che la legge da lui presentata sul 416-bis e sul sequestro e sulla confisca dei patrimoni mafiosi venisse approvata dal Parlamento.
Il 3 settembre dello stesso anno, la mafia uccise anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’autista e agente di scorta Domenico Russo.
Solo allora il Parlamento ruppe gli indugi, superò le interessate resistenze e approvò la legge, secondo l’inaccettabile e reiterato vizio dell'”antimafia del giorno dopo”.
Per Pio La Torre una moderna lotta alla mafia doveva saper coniugare al meglio la dimensione della legalità con quella dello sviluppo.
Un binomio in cui credeva molto e con cui volle caratterizzare tutta la sua vita politica, fin da quando, giovanissimo, si recò a Corleone per continuare il lavoro sindacale di Placido Rizzotto, anche lui ucciso barbaramente dalla mafia dei corleonesi guidati dal medico Michele Navarra e dall’emergente boss Luciano Liggio.
Allo stesso binomio di legalità e sviluppo Pio La Torre si rifece quando guidò l’occupazione delle terre da parte dei contadini nell’entroterra siciliano, per la riforma agraria, subendo la repressione e il carcere.
Noi giovani di allora, attivi nell’associazionismo e nel volontariato cattolico, eravamo attratti dal suo carisma, dalla sua capacità di rappresentare le istanze dei cittadini a partire da temi di grande rilievo politico e sociale, come il diritto all’acqua e al lavoro, e di mobilitare la partecipazione di ampi settori della società civile.
Partecipammo con entusiasmo e convinzione alla grande mobilitazione da lui promossa contro l’installazione dei missili a Comiso.
Ci confrontammo lealmente, schierandoci apertamente e convintamente al suo fianco.
Partecipammo così alle manifestazioni, raccogliemmo migliaia di firme davanti alle parrocchie, senza mai lasciarci intimidire dalle accuse di strumentalizzazione rivolteci dagli ambienti conservatori e collusi.
Insomma, condividevamo con Pio La Torre la visione, ancora attualissima, di una Sicilia e di un Mediterraneo come spazio vitale di cooperazione e integrazione tra popoli, culture, religioni ed economie, con un profilo europeo realmente federale e attento alle dinamiche del Sud.
Non tutti, allora, capirono la portata straordinaria dell’impegno politico di Pio La Torre.
La mafia e i poteri collusi a livello locale e internazionale, invece, lo capirono benissimo e si adoperarono per neutralizzarlo, come prima avevano fatto con Peppino Impastato e Piersanti Mattarella, due altri profeti politici.
Purtroppo, anche dopo il suo assassinio, la politica e la stessa società non sempre sono stati all’altezza del suo nobile sacrificio e di quello di Rosario Di Salvo.
L’insegnamento di Pio La Torre però rimane tuttora valido.
Ecco perché bisogna coltivare una memoria viva e attiva, rinnovando l’impegno per riorganizzare una moderna e progettuale antimafia del “giorno prima”.
Un'antimafia che abbia solide basi sociali e politiche e che sappia rilanciare una sfida ancora aperta ma tutta da vincere.
Giuseppe Lumia
( Già Parlamentare per sei legislature - Già Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia )