Ma a farsi insostenibile sulla Casa Bianca anche la pressione delle disastrose conseguenze che la paralisi del governo federale, giunta al suo 35mo giorno, stava provocando. E non solo per gli 800 mila dipendenti costretti a casa e per il secondo mese di fila senza paga. Le ultime notizie erano di una situazione sempre più caotica nei principali aeroporti costretti a lasciare a terra gli aerei e a cancellare i voli per mancanza di personale, a partire dai controllori di volo e dagli addetti alla sicurezza. Come accaduto negli scali newyorchesi di La Guardia e Newark o in quello di Philadelphia.
E poi il rischio di una vera e propria rivolta in diverse amministrazioni: come dimostra la situazione all'Irs, l'agenzia federale delle entrate, dove nonostante l'ordine di presentarsi al lavoro anche senza paga per far fronte ai rimborsi fiscali in 14 mila dipendenti sono rimasti a casa rifiutandosi di prendere servizio. Senza contare l'allarme lanciato dall'Fbi a corto di soldi per le indagini su criminalità e terrorismo. Insomma, la linea dura e intransigente rischiava di diventare un vero e proprio boomerang per il presidente che, dopo il lungo braccio di ferro con la speaker della Camera Nancy Pelosi, si è arreso, scegliendo la via del compromesso piuttosto che un ulteriore strappo: quello della proclamazione dello stato di emergenza di cui, affermano alcuni media, esiste già una bozza, pronta ad essere ufficializzata se Trump lo dovesse ritenere opportuno. Insieme a 7 miliardi di dollari per il muro che sarebbero stati racimolati scandagliando nei bilanci dei vari ministeri.